12 Agosto 2020

LO SCANDALOSO PRESTITO ALLA FIAT

Di Raffaele Avallone

La Fiat Chrysler Automobiles (FCA) ha chiesto tramite Banca Intesa San Paolo un prestito di 6,3 miliardi di euro assistito dalla garanzia pubblica SACE , società della Cassa Depositi e Prestiti, in base a quanto stabilito dal decreto liquidità, ossia lo stesso decreto che consente alle piccole imprese di chiedere un finanziamento di 25.000 euro. L’unica differenza tra le due forme di prestito sta nel limite finanziabile, che nel caso della Fiat è pari al 25% del fatturato, e nel fatto che la garanzia dello Stato non è del 100% ma dell’80%.

Fin qui nulla di strano potremmo allora dire, perché la Fiat è un’azienda che solo in Italia dà lavoro diretto ed indiretto a 200.000 lavoratori, cui vanno aggiunti quelli impiegati nelle varie concessionarie, per cui se ha deciso di chiedere un prestito approfittando della garanzia statale, non ci sarebbe nulla da obiettare.

Ed invece c’è molto da obiettare e vi spiego perché.

Va preliminarmente precisato che la FIAT ha di recente trasferito la propria sede fiscale a Londra e la sede legale e fiscale delle sue società controllate in Olanda. Ebbene, questi trasferimenti hanno provocato un rilevante danno economico per le entrate dello Stato italiano.

Per capire la ragione del danno dobbiamo però prima esaminare uno dei grandi problemi che l’Europa non riesce o non vuole risolvere e che va sotto il nome di dumping fiscale.

Si tratta di un meccanismo attraverso il quale alcuni paesi come la Gran Bretagna, l’Olanda, il Lussemburgo, l’Irlanda e la Svizzera, consentono che l’imposta dovuta dalle società non sia versata nel luogo in cui gli utili sono prodotti (quindi, nel caso della FIAT, in Italia), ma nel luogo dove risultano avere la sede legale e/o fiscale. Naturalmente, per invogliare le società a trasferire (solo) la sede presso di loro, questi paesi offrono tassazioni sul reddito societario che sono molto inferiori a quelle applicate nei paesi dove le stesse società hanno la sede operativa e produttiva. Per completezza aggiungo che oltre al dumping fiscale c’è anche un dumping sociale e contributivo, che favorisce invece la delocalizzazione dell’impresa in paesi (soprattutto dell’est Europa) dove il costo della mano d’opera è di molto inferiore a quello italiano (ed anche di altri paesi europei). Per ultimo, ma più importante degli altri, c’è il dumping cosiddetto “predatorio” che è quello praticato soprattutto dalla Cina e che consiste nel vendere, con l’aiuto dello Stato, i propri prodotti a prezzi stracciati, spesso sotto costo, con l’intento di mettere fuori gioco la concorrenza e conquistare così nuovi mercati. Ma di essi mi occuperò un’altra volta.

Dunque la Fiat, avendo trasferito la sede fiscale a Londra, non versa un centesimo di tasse in Italia e quel poco lo paga in Gran Bretagna, dove la tassazione è meno della metà di quella italiana. Lo stesso fanno le aziende da essa controllate.

Volendo restare in tema, che è quello della concessione del prestito di 6,3 miliardi alla Fiat, e senza scendere in questa sede in dettagli più tecnici, sui quali sarà forse utile ritornare in seguito, basti qui sapere che questo giochetto costa all’Italia circa 6 miliardi di euro (non solo per colpa del gruppo Fiat ma anche di altre società che hanno spostato la sede fiscale all’estero). La perdita totale di tutti i paesi europei è invece di circa 27 miliardi l’anno. Naturalmente solo una minima parte delle imposte “eluse” da queste società va ad ingrassare i bilanci dei suddetti “paradisi fiscali”, e ciò a causa della bassissima tassazione da essi accordata alle società per attrarle. Quindi a guadagnarci sono soprattutto le società e poi i paradisi fiscali, i quali si accontentano di poco, perché poco è sempre meglio del niente che dovrebbero in realtà prendere da aziende che presso di loro hanno solo la sede legale.

Purtroppo ciò che fa rabbia è che tra questi paesi troviamo anche quelli, come Olanda e Lussemburgo (e fino alla Brexit anche la Gran Bretagna), sempre tra i primi a bacchettare l’Italia quando si tratta di verificare i nostri bilanci o approvare misure di sostegno come quella dell’emissione di coronabonds per combattere la pandemia. Insomma ci fanno prima concorrenza sleale, poi ci rapinano miliardi e alla fine ci fanno anche la morale! L’Europa non può quindi essere questa.

Voglio chiudere qui la disamina sul dumping fiscale e rinviare la trattazione (anche in merito al Tax ruling) per sottolineare non solo i danni che esso causa allo Stato ma anche, indirettamente, quelli che provoca alle altre aziende italiane, soprattutto quelle piccole che non possono permettersi, come ha fatto la Fiat, di trasferire la sede all’estero e sono costrette a subire una “tartassazione”. E poi dobbiamo affrontare una volta per tutte il problema dell’evasione fiscale. Sul serio però, perché di balle fino ad oggi se ne sono sentite troppe.

Ed allora, per concludere, mi domando: è giusto che lo Stato Italiano garantisca miliardi di prestito ad una società come la Fiat (ma non solo) che paga all’estero le imposte sui propri redditi?

Per carità. Sappiamo che da noi la tassazione è troppo alta ed è quindi comprensibile che le aziende siano poi incentivate a trasferire la sede all’estero, pur lasciando in Italia la produzione, ma non pagare nemmeno un centesimo di tasse e poi farsi garantire un prestito di oltre 6 miliardi di euro dallo Stato mi pare francamente troppo, fosse anche sotto il solo profilo etico. Ma questa è un’altra storia

18 maggio 2020

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