Oggi vorrei parlare di scuola. Ma non solo. Prendo l’occasione dalla notizia di una maestra delle materne di Prato che dopo mesi di reclusione da coronavirus ha deciso, ora che le condizioni di sicurezza lo permettevano, di uscire dallo schermo in cui era stata rinchiusa per parlare ai suoi bambini, per farsi vedere in carne ed ossa, guardarli negli occhi e raccontare loro tante belle storie, stando all’aria aperta, all’ombra di qualche platano del parco pubblico della città.
L’iniziativa è certamente lodevole e merita approvazione, sia sotto il profilo umano che pedagogico. Molti altri insegnanti hanno subito dichiarato di voler seguire l’esempio della collega, per la gioia dei bambini e dei loro genitori. Onore dunque ad una categoria spesso poco considerata, se non a volte addirittura umiliata a causa di una narrazione che a fronte di pochi docenti sfaticati e frustati ha finito per mettere sulla graticola gran parte degli insegnanti che hanno invece fatto dell’insegnamento la loro missione di vita.
Applausi alla maestra, verrebbe allora da dire. Ed invece no, neanche per sogno.
Il solito sindacalista (in questo caso della CISL scuola) anziché plaudire all’iniziativa (o stare semplicemente zitto che era meglio) ha accusato apertis verbis la gentile signora maestra di aver offeso tutte le altre insegnanti che anziché portare i bambini all’aria aperta se ne erano restate a casa, facendole così passare per nullafacenti.
Ed allora mi è venuto in mente una storia di quando ero bambino. Francesco, un amico di mio padre, una sera che era a cena da noi, raccontò di quando si era trasferito per lavoro al nord, precisamente in Emilia, come muratore. Il primo giorno svolse con zelo ed entusiasmo il suo lavoro, senza perdersi in chiacchiere. Il giorno seguente fece la stessa cosa e tornò a casa soddisfatto per aver fatto il suo dovere, semplicemente il suo dovere. Il terzo giorno, durante la pausa pranzo, il capo operaio lo chiamò per dirgli che gli altri operai si erano lamentati del suo modo di lavorare. Francesco sbiancò pensando di non essere stato all’altezza del compito e si scusò con il capo squadra impegnandosi umilmente a fare di più. Ma cosa hai capito? gli disse il capo cantiere, il problema è che lavori troppo, devi rallentare. Stai facendo passare tutti gli altri operai per lavativi, sfaticati e nulla facenti. Mi dispiace ma se continui così ti dovrò licenziare.
Francesco capì, rallentò, fece da allora pause più lunghe e si adeguò alla maggioranza. Divennero tutti suoi amici.
C’è una morale in questa storia? Certo che c’è. Così come c’ è una morale in quella della nostra brava maestra. Ognuno cerchi la sua. Io vi dico la mia.
La nostra maestra era iscritta al sindacato? E le altre maestre restate a casa erano iscritte al sindacato? Forse. Non lo sappiamo. Qualcosa mi dice però che se la nostra maestra fosse stata iscritta al sindacato non sarebbe stata attaccata così pesantemente. Come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina. E il ministro dell’istruzione Azzolina cosa ha detto a tale riguardo? Assolutamente nulla. Forse era ancora troppo occupata a capire come si fa a riempire un imbuto.
In realtà questa storia dimostra come sia ormai radicata nel nostro Paese la cultura del NON FARE, del fare scorrere le cose, del non impegnarsi più di tanto, non decidere. Se non fai niente è sicuro che non sbagli, se fai qualcosa c’è sempre il rischio di sbagliare, di essere criticato, accusato e a volte anche sbeffeggiato. Ed allora meglio starsene per i fatti propri, seguire la corrente, farsi carrozza anche se ti senti locomotiva e potresti fare qualcosa per il prossimo. L’iniziativa individuale è vista male, è osteggiata e viene sacrificata sull’altare delle scelte collegiali, anche per le cose più semplici e banali. Tutto deve essere concertato, avallato, certificato e griffato dai sindacati.
Voglio concludere queste mie riflessioni con un mio aforisma:
“Gli uomini sono come i vagoni di un treno: ci sono quelli locomotiva, nati per guidare, e quelli carrozza, nati per essere guidati. Purtroppo in politica accade che, essendo maggioranza, sono gli uomini carrozza a guidare il paese e quelli locomotiva costretti a seguire. Ed il treno non cammina.
7. giugno 2010
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