In questa legislatura un parlamentare su tre ha cambiato casacca e qualcuno lo ha fatto anche più di una volta. Una vergogna.
La recente migrazione che ha interessato il M5S è quindi solo l’ultima di una lunga serie, ma per molti versi è anche la più sconcertante perché i grillini non si sono mai considerati come gli altri.
Loro erano quelli “duri e puri”. E molti gli hanno creduto.
Dico subito che non ho nulla contro il M5S. Ciò che dirò non è quindi riferito solo a Di Maio e a chi lo ha seguito in questa nuova esperienza politica, ma a tutti quelli che in passato si sono comportati come lui e che lo faranno in futuro. In tutti i partiti.
Fatte queste doverose premesse, credo sia a questo punto opportuno mettere un po’ di ordine nelle nostre idee.
Il poeta americano J. R. Lowell diceva che “Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione” ed aveva ragione. È ovvio che chi è morto non può cambiare opinione e chi è stupido, poverino, non è in grado di elaborare percorsi dialettici tali da giungere a partorire opinioni diverse rispetto a quelle che aveva in passato.
Il problema è che molti furbetti hanno approfittato di quell’aforisma per far passare i loro tradimenti per virtù. Soprattutto i politici, che non si ritengono né morti, né stupidi (ci mancherebbe), sono diventati tutti specialisti nel triplice “salto della quaglia”. E ne vanno pure fieri.
Intendiamoci, tutti noi possiamo cambiare opinione, a condizione, però, che quel cambiamento, che è figlio legittimo del pentimento, si consumi tutto al nostro interno e non incida sulle legittime aspettative di chi ci ha dato fiducia. Insomma, cambiare si può, ma il cambiamento non deve portarci a tradire il prossimo.
Eppure è proprio questo che accade in politica. Chi cambia opinione pretende di conservare le posizioni ed i ruoli istituzionali conquistati grazie alle proprie vecchie idee, anche se esse sono diventate incompatibili o addirittura contrastanti con le nuove e mai condivise con gli elettori.
Mi spiego meglio.
Il pentito, absit iniuria verbis, gode della fiducia dei magistrati perché ha dimostrato di essersi dissociato dalla mafia e dai suoi modi di pensare ed operare.
Lo stesso pentito, però, sa bene che non potrà più contare sulla fiducia di chi ha tradito. E sa anche che non potrà nemmeno contare sulla fiducia degli altri, perché chi si è pentito può essere certamente compreso e perdonato, ma non può essere premiato.
Per intenderci, un pentito di mafia deve poter campare, ma non può pretendere di diventare poliziotto o carabiniere, per cui deve cercarsi un altro lavoro.
Ecco, la stessa cosa dovrebbero fare i nostri politici quando cambiano casacca e tradiscono i propri elettori. Dovrebbero cambiare mestiere.
Ed invece essi si trincerano dietro l’art. 67 della Costituzione secondo cui “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.”
Questo significa che ogni parlamentare, una volta eletto, può fare ciò che vuole, anche iscriversi ad un altro partito, fregandosene di chi lo ha eletto.
È giusto? Assolutamente no, ma questo purtroppo dice la legge.
Se però per la Costituzione un parlamentare, non avendo alcun vincolo di mandato, può cambiare partito, ciò non significa che egli possa anche venir meno al vincolo, quello fiduciario, che lo lega al suo elettore, oltre che al partito a cui è iscritto.
Ed ora prendiamo il toro per le corna.
Come abbiamo visto, proprio l’assenza di un vincolo di mandato ha consentito che in questa legislatura si consumassero tradimenti plurimi a danno degli elettori. I quali poi, per protesta, non vanno più a votare, ed hanno ragione. Come rimediare?
L’idea è venuta proprio al nostro Luigi Di Maio che in data 17.1.2017, disgustato dal mercato delle vacche che si consumava in Parlamento, ha così twittato: “Vieni eletto e poi cambi casacca? In M5S paghi 150.000 euro.
Mi permetto di tradurre perché il lessico del Sig. Di Maio non è dei migliori. Egli intendeva dire: “Sei stato eletto e vuoi cambiare casacca? Bene, ma se sei del M5S devi pagare 150.000 euro.”
In un video lo stesso Di Maio ha chiarito meglio il suo concetto affermando che: “Chi non vuole più stare nel Movimento va a casa, se non lo fa tradisce gli elettori, causa un danno e quindi deve essere risarcito il Movimento. È semplice, chiamatelo come volete: vincolo di mandato, serietà istituzionale, rispetto della volontà popolare. A nessuno è negato il diritto di cambiare idea ma se lo fai torni a casa e ti fai rieleggere. Questa volta mi rifiuto di tradurre.
Morale della favola
Alla fine il primo a non aver fatto quello che chiedeva Di Maio è stato proprio Di Maio. Egli ha quindi tradito tre volte: prima ha tradito i suoi elettori, poi il partito di cui era capo politico, e poi sé stesso. Un vero fuoriclasse.
Pensate che meriti ancora fiducia?
Raffaele Avallone
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