30 Agosto 2020

REFERENDUM: SI – NO – TRUFFA?

Di Raffaele Avallone

Il 20 e 21 settembre andremo a votare per confermare o meno la legge che ha ridotto il numero dei parlamentari. Lo prevede l’art. 138 della Costituzione nel caso di leggi di riforma costituzionale non approvate dai due terzi del parlamento, ma solo dalla sua maggioranza, come nel nostro caso.

Insomma, è come quando chiediamo al nostro computer di cancellare un file di sistema: prima di procedere il computer ci chiede se siamo davvero sicuri della scelta e se si, di confermarla.

In realtà la legge sottoposta a referendum è stata votata dalla maggioranza dei parlamentari ma non dalla maggioranza degli italiani. E’ infatti noto che grazie alla legge elettorale ed ai premi in essa nascosti, non v’è corrispondenza tra voti ottenuti dai partiti della Lega e del M5S che hanno formato il primo governo, e seggi ad essi assegnati sia alla Camera che al Senato. In particolare, i seggi ottenuti dai due partiti sono stati del 5.47% in più alla Camera e del 4,1% in più al Senato. Non solo, ma essi hanno potuto anche beneficiare dei voti non assegnati a tutti i partiti che non hanno raggiunto il quorum del 3%.

Vero è che alcune forze politiche hanno votato prima contro la riduzione dei parlamentari e poi a favore (come il PD dopo che è andato al governo). Vero è anche, però, che senza le distorsioni della legge elettorale, se cioè ci fosse stato un sistema elettorale proporzionale puro, M5S e Lega non avrebbero avuto parlamentari sufficienti per approvare la legge in prima lettura, e quindi non avrebbero potuta approvarla. Parlo ovviamente solo di questa legge di riforma costituzionale e non delle altre leggi che sono invece pienamente legittime.

Ma, dobbiamo chiederci, quando i nostri costituenti hanno scritto l’art. 138 sulla disciplina della revisione della Costituzione, quale era il sistema elettorale vigente? La risposta è semplice: il sistema proporzionale puro. Gli italiani hanno votato con questo sistema che assegnava i seggi ai partiti in proporzione ai voti realmente ottenuti, senza premialità, per oltre quarant’anni, e precisamente dal 1946 fino 1993, quando la legge è stata poi modificata in senso maggioritario. Ma non è stato però modificato anche l’art. 138 della Costituzione, con la conseguenza che esso risulta ora “zoppo”.

Detto con parole ancora più semplici, la norma citata parte dal presupposto che la maggioranza che ha approvato la legge di riforma sia espressione della maggioranza degli elettori che ora viene chiamata a confermare quella decisione. Ma non è così. Con la conseguenza che con il referendum viene oggi di fatto chiesto, non alla maggioranza degli italiani, ma in realtà alla sua minoranza (divenuta poi maggioranza parlamentare solo grazie alle distorsioni della legge elettorale), di confermare una legge che la vera maggioranza dei cittadini non ha mai votato e quindi non può essere ora chiamata a confermare. Ovvero, sotto diverso profilo, si chiede oggi alla maggioranza degli italiani di confermare il voto della minoranza, che non è assolutamente ciò che prevede l’art. 138 della nostra Costituzione.

A nulla rileverebbe la circostanza che, volendo, gli elettori potrebbero ora anche sanare, con il loro voto referendario, quel consenso “viziato”, semplicemente cambiando voto. Ed infatti, in tal caso non verrebbe più chiesto ai cittadini di concludere, confermando o non confermando col voto referendario, un iter legislativo iniziato nelle aule parlamentari nel 2018, ma di esprimersi di fatto per la prima volta, in via originale, autonoma e diretta, sul taglio dei parlamentari: facoltà questa che la nostra Costituzione però non contempla. Da qui l’illegittimità. Che non riguarda evidentemente né l’art. 138, in quanto essa stessa norma costituzionale, né la legge elettorale attuale che ha superato il vaglio della Corte ed è quindi legittima, ma che risiede evidentemente in una supposizione non giustificata dallo stato dei fatti sopra esaminati, ovvero, in una deduzione (referendum) che stride con la premessa (approvazione della legge costituzionale da parte della maggioranza, che però maggioranza in realtà non è).

A meno che non si voglia sostenere che il referendum non è confermativo, ma deliberativo (almeno in questo caso) in ciò confortati dal fatto che il termine “confermativo” non si rinviene nella lettera dell’art. 138 (ma sappiamo però che i nostri costituenti hanno sempre evitato di dare definizioni precise), ma è solo espressione universalmente utilizzata dai media e non solo da essi. Se così fosse, però, allora altri sarebbero i motivi di illegittimità da rilevare. Esaminiamoli.

Intanto dovremmo prendere atto che tale tipo di referendum, almeno a partire dal 1993, quando al sistema proporzionale puro è subentrato quello maggioritario, troverebbe la sua fonte proprio nello stesso art. 138 Cost. Poi dovremmo lamentarci del fatto che i cittadini non sono stati informati di questo loro inedito ruolo “legislativo”, né del potere di decidere se ed in quale misura ridurre il numero dei parlamentari, anziché essere semplicemente chiamati a confermare una legge già confezionata ed approvata. E questo doveva naturalmente valere, ed a maggior ragione, per i referendum celebrati nel 2006 e nel 2016.

E non è ancora tutto.

Se non fosse confermativo ma deliberativo, il referendum dovrebbe allora anche ottenere la maggioranza dei voti espressi dalla maggioranza degli elettori, esattamente come avviene per quello abrogativo previsto dall’art.75 della Costituzione, non potendo evidentemente più bastare una qualsiasi maggioranza per approvare una legge, a maggior ragione se di rango costituzionale come la nostra, senza necessità di raggiungere alcun quorum (teoricamente basterebbe anche un solo voto) come previsto invece dall’art. 138

Insomma, delle due l’una: o questo referendum è confermativo, come io ritengo che nella sostanza esso sia, ed allora è illegittimo perché fondato sul falso presupposto che la legge da confermare sia stata approvata dalla maggioranza (reale) degli italiani: e così invece non è; oppure è deliberativo, ed allora la procedura referendaria non potrebbe essere quella di cui all’art. 138 Cost. perché esso non prevede né quorum, né potere deliberativo diretto da parte del popolo sovrano: Ed allora i motivi di illegittimità addirittura aumenterebbero. Tertium non datur.

Raffaele Avallone (raffaeleavallone.blog)

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