Silvia Romano dal 2018 si trovava in Kenya come educatrice per bambini in un villaggio nella contea di Kilifi per partecipare a un progetto curato dalla onlus Africa Milele. Il 20 novembre dello stesso anno tre uomini appartenenti al gruppo di jihadisti somali di al-Shabaab legato ad Al Qaeda l’hanno rapita allo scopo di chiedere poi un riscatto per finanziare la propria attività terroristica. Insieme hanno viaggiato per settimane fino a giungere in Somalia, dove Silvia è poi restata fino alla sua liberazione avvenuta 18 mesi dopo.
Purtroppo non sappiamo molto sulla vicenda, né se è stato davvero pagato un riscatto di 4 milioni di euro per la liberazione. Possiamo però affermare che un riscatto è stato certamente pagato, perché ce l’ha detto il capo dei terroristi che ha anche candidamente dichiarato che con quei soldi avrebbe comprato armi da usare contro i nemici cristiani: cioè noi. E possiamo anche affermare che la ragazza è stata trattata bene e non ha subito violenze fisiche o psicologiche, perché lo ha dichiarato lei stessa al suo arrivo in Italia, vestita nel suo verde jilbab in ossequio alla sua nuova fede religiosa a cui si sarebbe, sempre a suo dire, spontaneamente convertita. E quindi dobbiamo crederle.
Le inevitabili polemiche scaturite dalla sua liberazione sono state di segno opposto e in alcuni casi anche violente, e quindi comunque da condannare. A chi ha messo in risalto il successo diplomatico italiano (Conte e Di Maio l’hanno accolta in pompa magna e il secondo aveva anche la mascherina con il tricolore stampato) si è contrapposto chi ha fatto notare come l’aver pagato un riscatto ai terroristi avrebbe potuto provocare altri rapimenti in futuro, di italiani soprattutto, visto che americani, inglesi e francesi non pagherebbero un centesimo per liberare i loro connazionali. A chi ha partecipato alla gioia dei genitori che dopo 18 mesi di dolore hanno potuto finalmente riabbracciare la figlia tornata a casa sana e salva, si è contrapposto chi ha fatto notare come ci siano troppe associazioni di volontariato che mandano giovani inesperti soli e allo sbaraglio in territori non protetti e altamente a rischio, senza il supporto di adeguate misure di sicurezza. Per carità, il volontariato è cosa buona e giusta, l’incoscienza no. Anche perché poi le conseguenze non le paga solo la ragazza di turno o l’associazione, ma l’intera collettività, con ripercussioni negative sui rapporti con i nostri alleati Nato e non solo, incazzati con noi perché con i soldi del riscatto i terroristi di Al Qaeda potranno armarsi contro di loro.
Detto questo, non dobbiamo però nasconderci la dura verità. Molte delle polemiche e degli attacchi subiti dalla ragazza sono dipesi dalla sua conversione religiosa e dall’ostentato nuovo look con il quale si è presentata in Italia: all’apparenza sorridente, per nulla consumata dalla lunga prigionia, come è accaduto in passato per altri italiani rapiti, e ciò a conferma dell’insolito (e sospettoso) trattamento a lei riservato dai suoi carcerieri che, lo sappiamo bene, sono invece noti per la ferocia con cui amano torturare e poi massacrare inermi civili, soprattutto cristiani.
E qui nasce la prima domanda. Se è vero che la ragazza è stata trattata con riguardo, gentilezze ed amore, al punto da sentire il bisogno di convertirsi non all’Islam, si badi bene, ma alla sua ala più fanatica e intransigente, quella che cioè sottomette le proprie donne riducendole a schiavitù e le obbliga ad indossare vestiti da schiava, come quello orgogliosamente esibito da Silvia Romano al suo arrivo in Italia, proprio quell’Islam fatto di terroristi che sgozzano senza pietà chiunque non la pensi come loro; se insomma questa benedetta ragazza era davvero convinta di aver raggiunto la pace spirituale (e a quanto sembra anche il proprio amore), perché, ci chiediamo, abbiamo avuto il barbaro coraggio di strapparla dal paradiso terrestre in cui era felicemente approdata per riportarla nell’inferno italico, per giunta pagando (noi) un biglietto di solo ritorno di 4 milioni di euro? Per carità, la ragazza ci è sembrata felice del ritorno a casa, ma desta qualche perplessità il fatto che non si sia sentita in dovere, almeno formale, di spendere una sola parola di ringraziamento nei confronti di chi l’ha liberata. Da lei solo elogi per i rapitori e per il loro modo di vivere e di essere. Il che ci porta alla seconda domanda. E se invece la povera Silvia fosse stata costretta a fingersi altra persona, ad interpretare cioè un ruolo non suo ma il cui copione è stato scritto da altri?
Le risposte possibili sono due: o questa ragazza è stata davvero plagiata e terrorizzata al punto da trovare rifugio e protezione in una sorta di intima semi incoscienza mistica da cui col tempo speriamo possa uscire, oppure Silvia Romano ha davvero abbracciato gli ideali dei terroristi islamici (e sottolineo dei terroristi islamici e non dell’Islam) al punto che ancora adesso che è in Italia ormai da giorni, a casa sua, continua ad esibire orgogliosa il suo Jilbab. Ed allora dovremmo seriamente preoccuparci dei suoi futuri comportamenti. Ma io voglio credere nella prima ipotesi.
Insomma, qui non è in discussione la scelta religiosa, perché ognuno fa quello che vuole. Se la ragazza è felice siamo felici anche noi. No. Ciò che metto in discussione è il comportamento assunto dal governo italiano che, sebbene fosse stato informato di tutto dai nostri servizi segreti (conversione inclusa), avrebbe dovuto evitare quella triste e inopportuna sceneggiata dell’accoglienza trionfale, attrezzata a soli scopi elettorali, senza preoccuparsi delle conseguenze per la ragazza, tanto per mettere la bandierina su un successo diplomatico che comunque non c’è stato e che, anzi, ci ha esposti, per l’ennesima volta, ad una brutta figura sul piano internazionale.
14 maggio 2020
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